La vita di Adolfo Orsi è stata, fin dalla tenera età, sicuramente intensa ed operosa. Il risultato del suo incessante lavoro ed attivismo è stato quello di raccogliere un meritato successo, prestigio e, come spesso capita, anche ...
le conseguenti invidie.
Vi invitiamo a leggere il nostro racconto dell’indissolubile legame della famiglia Orsi con la storia della Maserati nonchè il racconto sulla vita di Adolfo Orsi che già abbiamo scritto.
A tutto questo, mancava ancora una importante vicenda. Desideriamo ora far conoscere, o rinnovarne il ricordo, un altro episodio che attesta, una volta di più, la dinamicità imprenditoriale e l’intraprendenza di Adolfo Orsi: l’operazione di recupero del piroscafo Cesare Battisti.
Per cercare di farlo nel modo più corretto possibile, abbiamo lungamente ricercato notizie sulla vicenda e preso contatto con le persone più accreditate e competenti sull’argomento.
E’ con grande riconoscenza quindi che ringraziamo per la collaborazione Ezio Trevisan e Danilo Pellegrini che con passione ed entusiasmo hanno accolto il nostro progetto di riproporre alla memoria la vicenda del recupero del piroscafo Cesare Battisti da parte di Adolfo e Marcello Orsi fornendo, tra l’altro, fondamentale ed abbondante documentazione fotografica - in gran parte inedita - che illustra le varie fasi della rischiosa operazione.
Prima di iniziare il racconto, proponiamo alcuni cenni su come queste preziose immagini siano giunte fino ai giorni nostri e sui protagonisti del loro salvataggio. E’ lo stesso Danilo Pellegrini a raccontare: nei primi anni '80, in occasione della cessione della Società Panfido, allora in stato di dissesto, alla storica società triestina Tripcovich, durante la fase dello sgombero della sede sociale, una quantità di materiale tra cui un cassone contenente album rilegati e foto alla rinfusa era stato sconsideratamente destinata al macero. Si trattava della documentazione fotografica di quasi un secolo di lavoro!
In quel frangente, uno dei vecchi comandanti della Società riuscì fortunosamente a salvare la maggior parte del materiale iconografico.
Ezio Trevisan, appassionato subacqueo e cultore di storia navale, ne era in amicizia e, decenni dopo, ne "ereditò" la raccolta comprensiva di circa 4500 foto.
E’ seguita poi la paziente opera di catalogazione: da parte mia ho solamente aiutato l'amico Ezio alla catalogazione delle immagini prive di dicitura e alla digitalizzazione dell'intera raccolta.
La passione navale di Danilo Pellegrini deriva dalla sua professione di ex imprenditore nel settore marittimo, attivo anche nel settore dei recuperi e rimorchi. Suo nonno, inoltre, fu il direttore tecnico dei cantieri veneziani CNOMV, che costruirono anteguerra alcuni rimorchiatori per la Panfido.
Danilo Pellegrini ha collaborato con la Marina Militare, anche in ricerche e ritrovamenti di relitti in Adriatico, attività da lui stesso documentata in alcuni saggi pubblicati nel Bollettino d'Archivio dell'Ufficio Storico della Marina Militare, annate dal 1991 al 1996.
Last but not least, come si usa dire oltre Manica, rivolgiamo ora un sentito ringraziamento ad Adolfo Orsi, nipote ed omonimo del fautore del recupero del piroscafo, per la gentile concessione dell'immagine scattata nell'aprile del 1938 che ritrae Adolfo Orsi (a dx) insieme al Colonnello Domenico Bassich.
Siamo lieti ed onorati di poter pubblicare questa preziosa immagine che riprende i protagonisti principali della vicenda e per questo ringraziamo ancora.
Passiamo adesso alla vicenda del recupero del "Cesare Battisti".
Il vapore Cesare Battisti è stato costruito fra il 1919 e il 1922 come facente parte di una flotta di altri cinque piroscafi gemelli.
Impostato il 31 marzo 1919 nei cantieri Ansaldo di Sestri Ponente, varato il 20 luglio 1920 e completato il 12 settembre 1922 per la "Transatlantica Italiana", il Battisti era lungo poco più di 130 metri, largo 16, per una stazza di oltre 8300 tonnellate.
Nel 1932, a seguito del fallimento della controllante Ansaldo, la nave fu venduta alla Tirrenia.
Il piroscafo, allestito lussuosamente per il trasporto passeggeri, negli anni successivi venne adibito anche al trasporto truppe.
Il Cesare Battisti, proveniente da Napoli, da dove era partito il 16 dicembre, era da poco giunto nel porto di Massaua con a bordo 190 uomini di equipaggio, 200 passeggeri civili e 500 militari quando, nella notte del 23 dicembre del 1936, si verificò un'esplosione in sala macchine.
Non è chiaro se vi sia stato un atto di sabotaggio o se sia stato un incidente ma la forte esplosione, che causò la morte di 26 persone e il ferimento di un centinaio, squarcia il centro della nave che, in seguito ad allagamento, affonda parzialmente trovando appoggio, inclinata, sui fondali del porto.
“Le vittime sono quasi tutti operai che andavano nelle nuove terre dell'Impero con entusiasmo e speranza per contribuire all'opera di colonizzazione. Un destino avverso ha colpito questi lavoratori mentre erano prossimi alla meta.
Tra i morti ed i feriti si trovano anche membri dell'equipaggio, soldati di quella superba marina mercantile italiana che in guerra ed in pace ha dato e dà tante prove di coraggio e sovente di eroismo. Aggiungeremo i nomi di questi Caduti a quelli dei pionieri che li hanno preceduti lavorando e combattendo in Africa.
Alle famiglie delle vittime sia di conforto la solidarietà di tutti gli italiani.
La Nazione non dimenticherà nè moralmente nè materialmente il sacrificio compiuto. La conquista, o meglio la valorizzazione dell'Impero ha voluto ancora un tributo di vite. Generoso olocausto compiuto in vista della terra d'Africa, ormai consacrata dalla vittoria e dal sacrificio alla Patria. Il momento è doloroso, ma l'Italia, che, con tutto il suo Popolo, ha fermamente voluto l'Impero, sente pure in quest'ora la nerezza di un sacrificio non vano. Alle, vittime generose va il saluto delle armi da parte di tutti i camerati. I nomi dei Caduti saranno accomunati nel ricordo a quelli di coloro che segnarono con loro sangue la strada imperiale, aprendo l'Etiopia alle Aquile di Roma ed alla civiltà.“
Così, con l’enfasi tipica del periodo, uno dei principali giornali italiani riportò il tragico fatto.
Adolfo Orsi, già all’inizio degli anni ’20 era un imprenditore di successo: le sue attività, le acciaierie, le fonderie e il magazzino del ferro, avevano un volume di lavoro considerevole.
Orsi era perennemente alla ricerca di opportunità di lavoro e durante uno dei suoi viaggi conobbe il colonnello Domenico Bassich, di Trieste, specializzato in recuperi navali.
Quando Orsi venne a sapere della notizia dell’affondamento del Battisti, si ricordò di quell’incontro e contattò Bassich perché intendeva partecipare al bando internazionale indetto per rimuovere il piroscafo che era di ostacolo all’intensa attività di quel porto.
Orsi e Bassich partirono da Trieste e raggiunsero Massaua in idrovolante per rendersi conto delle difficoltà che avrebbe presentato l’operazione di rimettere in assetto la nave e metterla in condizione di affrontare il mare.
Altri esperti e ditte invitati dalle autorità per un parere, giudicando impossibile il recupero, rinunciarono all’incarico.
Non Adolfo Orsi.
Egli riuscì ad aggiudicarsi l’appalto per la rimozione della nave garantendo non solo la riuscita del recupero ma anche di portarlo a termine in tempi più stretti rispetto ad altri partecipanti.
La capacità di osare di Adolfo Orsi, la sua determinazione, il gusto per la sfida, la volontà di riuscire, nonché l’abilità di saper scegliere persone capaci, furono effettivamente coronate dal successo.
L’operazione fu alquanto difficoltosa, rischiosa e pericolosa e un solo tentativo non fu sufficiente per la riuscita dell'impresa.
Il relitto del Battisti venne rimesso in condizioni di galleggiare nell'estate del 1938.
Successivamente, con un viaggio durato tre mesi, trainato dal rimorchiatore Ursus della Rimorchiatori Riuniti Panfido di Venezia, il Cesare Battisti raggiunse l’Italia e fu demolito presso il cantiere navale Scoglio Olivi a Pola.
Le varie fasi dell'operazione di recupero sono descritte dettagliatamente, e ovviamente con la retorica tipica dell'epoca, in un articolo pubblicato dal Giornale Italiano del 12 ottobre del 1938.
Ne riproponiamo il testo.
"II 23 dicembre 1936 affondava nel porto di Massaua, per avvenuto scoppio alle caldaie, il piroscafo "Cesare Battisti" nel momento in cui sbarcava il proprio carico di operai e merci diretti nelle nuove terre dell'Impero.
Lo scoppio fu spaventevole e grave al punto che la bella nave in pochi minuti si adagiò sulla banchina "Regina Elena."
E parve irrimediabilmente perduta.
Sul posto furono inviati, per accertare le diverse possibilità di ricupero, tecnici di nota competenza. Furono fatti sondaggi, mediante calo di palombari, eseguiti rilievi per stabilire I'entità dei danni, interpellate diverse ditte ed imprese, ma tutti furono concordi nel giudicare il "Battisti" irrecuperabile.
Anche una primissima casa inglese, che già conta al suo attivo importanti e numerosi salvataggi, non vide la possibilità di tentare una prova.
Parve, per un momento, che la bella nave italiana fosse completamente perduta tanto che fu ventilata l'idea di asportare la parte emergente e di coprire la restante mediante gettata calcestruzzo.
Una tomba pel "Cesare Battisti"!
Effettivamente i danni causati dallo scoppio si presentavano enormi. Salendo il reparto caldaie si era creata all'interno del piroscafo una enorme e spaventosa caverna.
Noi che abbiamo avuto la possibilità di visitarlo siamo rimasti perplessi davanti a tanta ruina. Travi contorte in tutti i sensi, grovigli di tubi in ogni luogo, lamiere chiodate e divelte come si trattasse di fogli di carta.
Sul fianco destro del piroscafo esisteva uno squarcio a forma triangolare della dimensione di metri 13 x 14.
L'opera di ricupero, come si è detto, si presentava di una difficoltà singolare; si trattava di chiudere questa enorme falla, sotto acqua, svuotare la nave mediante potentissime pompe e farla rigalleggiare in virtù delle proprie forze.
Tutto questo parve ai tecnici interessati lavoro troppo rischioso. Forse una inutile, immane fatica!
Fu una impresa di Modena, la ditta Adolfo Orsi che con mirabile ardimento, degno della più alta ammirazione, ritenne nobile cosa tentare almeno una lotta.
Le necessità della nostra politica autarchica lo esigevano. Non si doveva abbandonare al mare un simile tonnellaggio di materiali ferrosi.
E la lotta cominciò!
Fu dura, ardimentosa, piena di rischi e di imprevisti; ma i fratelli Adolfo e Marcello Orsi superarono la prova. Questa non poteva infatti fallire sotto la guida vigorosa e sicura del cav. uff. Adolfo Orsi. Industriale
di tempra eccezionale, del tutto degno del momento e di questa nostra nuova Italia, lavoratore silenzioso, tenace, instancabile, creatore di Industrie, animatore e organizzatore rettilineo, capace delle più ardimentose imprese.
Adolfo Orsi fu il solo che ebbe l'ardire di tentare il ricupero del "Cesare Battisti".
Questo suo coraggio, questa tenace volontà di riuscire, sono stati effettivamente coronati dal successo.
Ad un uomo della tempra di Adolfo Orsi non poteva non arridere la vittoria. Modesto, semplice, affabile,sempre sereno, l’ espressione di intelligenza, volontà e tenacia.
Coadiuvato dal fratello cav. Marcello, uomo instancabile e di doti non comuni, volenteroso e audace, ingaggiarono un valente tecnico, un vecchio lupo di mare, il comandante capitano Domenico Bassich, che già conta al suo attivo ben altri 142 salvataggi.
Fu formata una squadra di giovani ardimentosi palombari, macchinisti,falegnami, meccanici, autogenisti, elettricisti, marinai e quando tutto fu pronto, quando ogni cosa parve al suo posto, quando il programma sembrò sufficientemente elaborato, questa squadra di ardimentosi salpava verso le nuove terre dell’lmpero, che già conoscevano le glorie delle armi italiane portando chiusa nel cuore la ferma volontà della vittoria.
E così, con semplicità, senza chiasso nè cerimonie, ebbe inizio la lotta tra il mare e questo manipolo di uomini semplici.
Quante fatiche, quante incertezze e quante ansie!
Già l'inizio fu tragico ma non disanimò quella squadra dl giovani peri quali la fatica è un premio e il rischio abitudine.
Per superare le difficoltà impreviste si dovettero studiare e costruire attrezzi non ancora usati, escogitare le soluzioni più ardimentose.
Si trattava, in primo luogo, di turare la enorme falla che squarciava il fianco destro della nave. Ma il problema dal lato tecnico, per Io stato delle lamiere. si presentava di una estrema difficoltà: occorreva tagliare le slabbrature di queste.
Un nuovo apparecchio funzionò a 8-10 metri sotto il pelo dell'acqua, fatica improba di palombari. Ma la genialità italiana contò ancora una vittoria: la fiamma ossiacetilenica funzionò nella profondità del mare.
Sistemata la falla mediante gettata di cemento, tra difficoltà da non dirsi. Con l’ansia sempre presente dell’insuccesso, sistemate le paratie, chiusi i boccaporti, tappate le falle minori, dopo quasi due mesi e mezzo di snervante lavoro si diede mano a gigantesche pompe per tentare il recupero.
La bella nave parve raddrizzarsi sotto la potenza di forze occulte, ma subito si riaccasciò.
E il lavoro di riassestamento dovette essere ripreso.
Per ben due volte il tentativo fu vano! Ma l'ingegno e l'abnegazione dovevano al fine avere il sopravvento.
E la nave fu salva!
Parve un sogno quando il "Cesare Battisti," riassestato, rinforzato, rimesso nel suo primitivo equilibrio, lasciò maestoso, quel porto che aveva per tanti lunghi mesi ingombrato.
Solamente allora si capì di quanto fosse capace la rinata fede del genio, della volontà e del lavoro italiano,sotto la possente guida del Capo, che valorizzò l'opera col suo personale interessamento.
Il "Cesare Battisti" lasciò, a rimorchio , il porto di Massaua tra la commozione di tutti: Autorità e popolo. E mentre il bel naviglio si allontanava, rimpicciolendosi sul mare, quel manipolo di oscuri eroi che agitava sul ponte la bandiera della Patria, dovette certamente sentire una stretta al cuore.
Vediamo ancora sul volto scarno e abbronzato del Capitano Bassich, che mai ebbe un solo momento di incertezza, una lacrima.
Era la commozione che per un attimo aveva preso il cuore di questo vecchio lupo di mare. Ma fu un istante e il controllo di sè fu ripreso come il controllo della nave sulla quale navigava.
La preparazione della navigazione del "Battisti," destinato ai Cantieri Scoglio Olivi di Pola, non fu cosa semplice.
Innanzi tutto si dovette pensare al timone.
E poichè dell'impianto delle caldaie non rimaneva nessuna traccia,si dovette provvedere con un mezzo di fortuna, onde comandare a vapore, il timone della nave. Anche il problema dell'acqua dolce per l'equipaggio e la caldaia fu risolto. Ben 800 tonnellate di acqua furono caricate a bordo al momento della partenza.
A fianco del "Cesare Battisti," durante le operazioni di salvataggio, si trovò per lunghi mesi il rimorchiatore d’alto mare "Ursus"* di proprietà della Società Panfido di Venezia.
L'equipaggio di questo naviglio si adoperò pure esso, con abnegazione assoluta, a le operazioni di recupero, nulla risparmiando. A questo rimorchio doveva spettare l'onore di riportare in Patria il piroscafo dal nome simbolico.
La navigazione si iniziò lenta e sicura ma certamente non scevra di pericoli. Ben settemila chilometri era necessario percorrere per giungere in porto.
La radio installata a bordo del rimorchio, ebbe il nobile compito di tenere il contatto fra quegli ardimentosi e la madre Patria.
I giorni si susseguivano lenti, uniformi, monotoni. Si passò il Mar Rosso, il Canale di Suez e si entrò nel Mediterraneo. Parve a tutti un augurio, una promessa.
Ma l’insidia, non mancò.
II lento naviglio dovette conoscere la tempesta di quel mare. E fu terribile nel vero senso della parola! La nave, senza la forza del suo propulsore, era una barca in balia delle onde. Trainata dal rimorchiatore, al quale era allacciata mediante cavo d'acciaio, si tremò ancora una volta per la "Cesare Battisti".
Tutto l'equipaggio ricorda, attonito,questa tragica tra versata.
Ma quando la calma ritornò, quando il sole brillò ancora sul firmamento, ogn'uno era al proprio posto.
Anche quest'ultima dura prova era superata.
Il "Battisti" poteva considerarsi definitivamente salvato.
Non mancarono, durante il viaggio, momenti di intensa gioia e commozione. I passeggeri delle navi che, partite dalla Patria e dlrette verso l’Africa Orientate Italiana, incrociavano col "Battisti," sventolavano i loro fazzoletti al passaggio del glorioso naviglio indirizzando all'equipaggio i loro saluti e i loro auguri.
La navigazione continuò, fu risalito l’Atlantico e il 27 luglio alle ore otto il "Battisti" entrava, maestoso,nel porto di Pola.
Un motoscafo, lasciato qualche tempo prima il Cantiere Scoglio Olivi, si diresse, appena avvistato il "Battisti", ad incontrarlo.
Su di esso prendevano posto i fratelli Orsi con una. piccola schiera di intimi amici. II “Battisti" si fermò e i passeggeri del motoscafo salirono a bordo.
In un momento semplice e solenne due uomini dai grandi cuori si fissarono un attimo negli occhi profondi poi un abbraccio fraterni, commovente, sincero.
"La promessa è mantenuta" disse semplicemente il capitano Bassich al cav. uff. Adolfo Orsi; "ma, quante fatiche!"
E si brindò alla vittoria.
In questo istante un nome, sempre presente durante l’impresa e che è simbolo di volontà e di fede, fu invocato da tutti: Duce!
Un momento dopo partiva per Roma il seguente messaggio:
"Cav. Benito Mussolini - Roma.
"Operai e Capi della Impresa Orsi nel momento che la recuperata nave "Cesare Battisti" entra nel porto di Pola, dopo avere vinta la furia dei mari, inviano a Vostra Eccellenza, dal cui esempio di quotidiana volontà, appresero forza e fede, il più deferente saluto.
Ditta Adolfo Orsi Modena."
La nave venne ormeggiata tra grida di festa e urli di sirene presenti Autorità e popolo."